Chiamiamo poesia una creazione umana che presso le popolazioni più antiche poté cristallizzarsi nelle forme che ci sono giunte solo dopo un secolare apprendistato in forma orale. Se per i greci l’epica fu “enciclopedia tribale”, memoria e celebrazione collettiva, l’antenata della lirica moderna – nata dall’unione di parola, musica e canto – diede piuttosto voce all’individuo.
Già oggetto di speculazione filosofica, la poesia è stata definita e studiata dalla linguistica in relazione alle peculiarità che la distanziano dalla comunicazione ordinaria. Da una prospettiva storico-letteraria, oltre a parlare dei loro autori e a riflettere il loro mondo, i testi poetici si rifanno a generi e tipologie dialogando con altri testi.
Insieme con le poetiche, anche il canone è soggetto a variazioni e accade che autori già celebrati cadano nell’oblio. Per giunta, l’estensione contemporanea dello spettro del poetico e del poetabile ha sbiadito la percezione della poesia come costrutto regolato da norme e uso, determinando il curioso fenomeno – certo amplificato dai media – della prevalenza dei tanti che scrivono sui pochi che si ostinano a leggerla. Eppure, nell’orizzonte “liquido” di questo terzo millennio, interrogarsi sui destini di tale “prodotto” e tenerlo vivo significa non abdicare alla ricerca di un paradigma di senso, ma anche rivendicare la gratuità di una bellezza che ci rende più umani.
Parole chiave: poesia, epica, lirica, memoria, poetica, linguistica
Prof.ssa L. Andreatta